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Alla periferia orientale del capoluogo di Povegliano, sulla strada che porta ad Azzano e non lontano dalle sorgenti della fossa Calfura, è situato il santuario della Madonna dell'Uva Secca

Il luogo fu frequentato dall'età del Bronzo a quella altomedioevale, come attestano i numerosi reperti rinvenuti in varie occasioni e la recente scoperta di una necropoli longobarda.

La denominazione della chiesetta risulta però problematica e sembra essere il risultato della storpiatura di quella "della via secca" con cui era indicata la località fino a tempi non molto lontani. 

 

 

 

Notizie più specifiche su di essa si incominciano ad avere dal XVI secolo, consultando le visite pastorali relative alla parrocchia di Povegliano.

Quella effettuata dal vicario del vescovo Giberti l'undici ottobre 1526 informa che la «chiesa campestre di S. Maria della via Secca» godeva della rendita, per quei tempi non trascurabile, di 60 ducati annui, assicurata da alcuni appezzamenti di terra e dipendeva dal rettore della parrocchia di S. Martino.

 

Forse presso di essa in precedenza era stata esercitata l'ospitalità come si afferma, ma appunto dubitativamente, nella visita di tre anni dopo (suspicio habetur quod ipsa ecclesia alias fuerit hospitale). 

La visita del Giberti, svoltasi il 17 agosto 1533, quella che diede occasione al Berni di scrivere il noto capitolo satirico sulla ospitalità offertagli dal singolare prete del posto, ci fornisce notizia del degrado in cui versava l'edificio - oggetto per altro di grande devozione - che abbisognava del restauro del tetto, del campanile e della pala dell'altare maggiore. Vi erano allora, oltre al maggiore, altri due altari, mentre si fa riferimento ad uno solo nella visita del 1594 quando non sembra fossero ancora stati eseguiti, o lo fossero stati solo in parte, gli interventi richiesti dal Giberti.

È importante rilevare che esisteva già a quella data una società laicale intitolata alla Madonna.  

Il progredire della decadenza del sacro edificio fu di certo la causa che spinse la popolazione a costruirne uno ex novo, di maggiori dimensioni, che fu portato a termine nel 1611 come si legge sopra il portale d'entrata. In esso trovarono posto, oltre all'altare intitolato alla Madonna, altri due altari che però in occasione della visita del vescovo Marco Giustiniani, vale a dire nel 1632, erano ancora sine titulo, neque conservata neque instructa. In sostanza mancavano le strutture vere e proprie. Per uno si provvide l'anno 1663 a spese di Giovanni Filippo Pellegrini che lo volle dedicato all’Annunciazione, l'altro fu eretto in data imprecisata ed intitolato a S. Antonio da Padova. Con le disposizioni napoleoniche del 1806, la Società della Madonna della via Secca fu soppressa e l'oratorio fu chiuso al culto.  

In una lettera di quell'anno il parroco di Povegliano rivolgeva un'accorata supplica al Vicario Generale perché ne patrocinasse la riapertura a favore della contrada distante dalla parrocchiale oltre un miglio, centro d'abitazioni di circa trecento persone per le quali era sempre servita da sussidiaria «per soccorso alle parrocchiali funzioni e della dottrina Cristiana e dell'amministrazione de' Sacramenti a tutti quegli abitanti, particolarmente a vecchi ed a poveri infermi». 

L'instrumento d’avocazione delle sostanze dell'oratorio, stilato il 1° luglio, alla presenza di G. Battista Bozisa e Alessio Zanella, consiglieri della Compagnia, fornisce interessanti indicazioni sul suo corredo e sulle sue condizioni.

Fra i beni mobili troviamo inventariati:  «una palla con cornice nera e filetto pattinato rappresentante l'Annunciazione di Maria Vergine; una palla rappresentante S. Antonio da Padova, diversi quadretti appesi alle pareti rappresentanti diversi miracoli della Beata Vergine, una palla a tre sezioni, nella superiore delle quali e nella inferiore si vede dipinta l'assunzione di Maria Vergine, la media poi consiste in un quadrilungo di drappo a fiori che copre il nicchio in cui è riposta I'effige della Beata Vergine coricata dipinta sul muro.

Rivediamo ora le cose in maniera più dettagliata. La pala con l'Annunciazione, ora nella parrocchiale, era collocata sull'altare dei conti Pellegrini, addossato alla parete di destra, tutto in pietra tufacea con doppie colonne che reggono un frontone ad arco spezzato e stemma della famiglia ai lati del paliotto.

È tuttora esistente e reca sul fastigio la scritta D.O.M. I DEIPARI ANNUNCIATAE I IOANNES PHILlPPVS I PEREGRINVS DICAVIT I ANNO D. MDCLXIII.

Il Lanceni attribuisce il dipinto alla scuola dell'Orbetto. 

La pala con S. Antonio, anch'essa custodita nella parrocchiale, è invece data dallo stesso Autore come opera di Biagio Falcieri.

Insisteva sul seicentesco altare della parete sinistra caratterizzato da un paliotto a tarsie di marmi policromi, colonne di rosso veronese e tabella nera anepigrafe. Nel 1806 esso apparteneva alla famiglia Perini, mentre in epoca precedente pare sia stato di ragione degli Erbisti.

Meglio documentabili sono le vicende dell'altar maggiore per essere sopravvissuto il libro delle Entrate-Uscite della Compagnia della Beata Vergine dell'Uva Secca. Sfogliandone le pagine, si apprende che già nel 1743 era stato costruito un altare dal tagliapietra Andrea Bozigni (o Bozin), su disegno di Adriano Cristofali, il noto architetto veronese cui si deve anche il progetto della parrocchiale precedente l'attuale. L'opera riuscì poco gradita a giudicare dal fatto che il 27 dicembre 1763 la Compagnia affidava l'incarico per un nuovo altare al tagliapietra Pietro Puttini, siglando il contratto con lauta spesa di "pane, bigoli e pollastre e sallatta e pessi". 

Fra marzo 1763 e novembre 1769 risultano versate al Puttini 2718 lire venete. Altre spese la Compagnia ebbe a sostenere per i muratori e per le cibarie ai tagliapietra durante l'installazione dell'altare. Ecco come esso viene descritto nel citato inventario del 1806: "...di marmo con colonne quattro di rimesso affricano il quale altare ha la sua vetta che tocca la volta della chiesa. Da cadauno dei due lati evvi un ingresso al coro con imposte ed architrave di marmo giallastro e sopra uno degli architravi poggia una statua di mattone rappresentante la Speranza e sopra l'altro poggia l'altra statua simile rappresentante la Carità". 

La monumentale opera sembra avere dimensioni sproporzionate rispetto all'ampiezza dell'oratorio, ma ciò fu forse dovuto alla necessità di comprendere al suo interno la struttura muraria con l'affresco trecentesco rappresentante la Dormizione della Vergine, attribuito alla scuola dei veronesi Altichiero ed Avanzo. Sopra e sotto tale affresco, in corso di restauro, erano collocate le due pale del Bassetti con l'Assunzione della Vergine, oggi nella pinacoteca di Castelvecchio. 

Un'epigrafe, a fianco dell'altare, ricorda che l'affresco fu trasferito nel 1601 dalla precedente sede, più disadorna, il che rimanda all'uso di espedienti tecnici non semplici. Quanto al quadro del coro rappresentante la Beata Vergine, dovrebbe trattarsi di quello che già al Lanceni pareva opera del Badile e che il Brenzoni confermò come tale quando nel 1926, restaurandolo, trovò la sigla del pittore e l'anno di esecuzione (1539). 

La chiesetta disponeva anche di una cantoria di legno intagliato e dorato sulla quale vi era «un organo nella sua cassa di pezzo con cimale e freggi dorati a pattina e con due portelle davanti di pezzo con pitture esterne rappresentanti l'Annunciazione di M. V. e con pitture interne rappresentanti il re Davide e S. Cecilia". 

Fra le "uscite" della Compagnia troviamo registrata annualmente la spesa per l'organista che accompagnava le funzioni religiose, soprattutto quella della solennità della Madonna d'agosto, in occasione della quale era usanza distribuire il pane ai confratelli ed acquistare polvere «per sparar i mortaretti». L'organo fu asportato e con esso anche le portelle dipinte che il Lancetti attribuisce ad Antonio Corte. Ancora in sito si trovano invece le due campane, una delle quali risulta fornita dal fonditore veronese Angelo Poni, nel 1750, per 382 lire venete, e l'altra da G. Antonio Larducci, nel 1752, per 60 lire venete. 

Nei primi anni ’90 la chiesa, trascurata per molto tempo, è stata fatta oggetto della debita attenzione da parte degli abitanti del paese che hanno costituito un comitato per restituirla alle pristine condizioni. l lavori di restauro, condotti in stretta collaborazione con la Soprintendenza, hanno permesso, fra l'altro, di riscoprire le fondamenta della chiesetta medioevale.

Fonte: Notiziario BPV numero 4 anno 1990

        

 

 

 

 

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